GLI UOMINI DELLA RSI: PIERO PISENTI   


PIERO PISENTI, IL GUARDASIGILLI DI UNA REPUBBLICA NECESSARIA
Di Padova
 
 
L’avvocato Piero Pisenti, quell’uomo che durante tutto il ventennio fascista - così specificò lo stesso Benito Mussolini a villa Feltrinelli, sul lago di Garda, nei suoi collo qui con il saggista Ottavio Dinale sulle qualità morali e sulle capacità d’agire delle diverse personalità che caratterizzarono le vicende politiche tra il 1912 e il 1945 - ha avuto il coraggio d’una sua illuminata eterodossia, confermò appieno la propria linearità nella coerenza ideologica allorché, dal 6 novembre 1943 al 26 aprile 1945, assunse e svolse l’impegnativa missione di ministro della Giustizia nel governo della Repubblica Sociale, nonchè di guardasigilli del nuovo Stato italiano, operando - sempre - con la ferma volontà e con la sua ineccepibile capacità di giurista in quel momento particolarmente indispensabili per salvaguardare - anche nell’ambito del diritto internazionale pubblico - la struttura statuaria d’ordine costituzionale che in quell’emergenza drammatica per la nostra Nazione, e in una delle fasi più risolutive del 20 conflitto mondiale, rischiava di venire travolta e che egli, invece, seppe custodire e proteggere, malgrado l’imperversare d’una metamorfosi complessiva di disarmonia morale - parecchio devastante - confluente nel ripudio di coscienza che il nemico eccitava per tornare ad insediare di nuovo in Europa, e - altrove, il genere di gestione wilsoniana (trasformantesi in maniera keynesiana) dell’economia mondiale e che, dal 1941 in poi, non disdegnò di cooperare con le forze militari del messianesimo dell’utopia marxiana, subordinato crudelmente quest’ultimo allo stalinismo sovietico. E’ davvero doveroso puntualizzare che l’intera azione di primaria peculiarità giuridica svolta dall’avv. Pisenti s’articolò in ambito nazionale allorché lo scompiglio interiore e la reiezione individuale da ogni responsabilità pubblica colpirono l’Italia in dimensione collettiva, con la gravità indicata da B. Mussolini nell’opera "Il tempo del bastone e della carota" (1944) e che lo studioso Ruggero Zangrandi confermò nel compendio "L’Italia tradita" (ed. 1971), stimolando con tali indicazioni qualsiasi persona a capacitarsi dell’ineluttabilità dell’istituzione della Repubblica Sociale per riscattare l’integrità della Patria dal complotto e dal "colpo di Stato" ordito da Dino Grandi e da altri corresponsabili il 25 luglio 1943 nell’ultima riunione del Gran Consiglio del Fascismo e, quarantacinque giorni dopo, dalla "resa incondizionata" al nemico dell’8 settembre concertata con ignominia dai Savoia, da Pietro Badoglio e dai loro generali, contemporaneamente al tradimento dei patti stipulati con gli autentici alleati d’Europa e d’Asia.
Furono quegli eventi - repetita juvant! - che crocifissero l’intera penisola italica e tutte le sue genti sul tremendo golgota-calvario estesosi dalla Sicilia al Brennero, nonché dalla Puglia al Piemonte, e ovunque c’erano i soldati in grigioverde, tra l’incalzare costante dell’invasione yankee e d’Albione e la veemente reazione della Wehrmacht al voltafaccia repentino del monarca sabaudo e del "marchese di Caporetto". Così, mentre il risorto Partito fascista s’impegnò nella salvaguardia degli interessi nazionali in quei momenti tempestosi (si considerino le attestazioni di Massimiliano Soldani nel 1999 su "L’ultimo Poeta armato" riguardanti l’attività di Alessandro Pavolini quale segretario del PFR e le documentazioni sul "Fascismo repubblicano" di Pino Romualdi che completò in "clandestinità" nel "1946), Mussolini - liberato dalla prigionia badogliana sul Gran Sasso - chiamò, a rendersi protagonisti del nuovo risorgimento d’Italia, quegli uomini che, interpretando anche la funzione universale attribuita da Berto Ricci a tale movimento politico mediante i concetti del corporativismo e la sua evoluzione costruttiva per l’intera umanità (ecco la sostanza del "Tempo di sintesi" indicata dall’autore del MANIFESTO REALISTA prima della sua morte sul fronte libico, che riemerge altrettanto vitale nella mistica di Niccolò Giani e di Guido Pallotta), plasmarono l’articolazione operativa del Progetto mondiale di Socializzazione per l’economia produttiva, annullando contemporaneamente la negatività d’una globalizzazione plutocratica del "libero mercato" prospettata speculativamente da Adam Smith, David Ricardo e completata poi da J.M. Keynes, nonché l’altra degradazione materialista contemplata dalle continue mistificazioni del marxismo, quelle oscillanti adesso tra i residuati psicologici del socialcomunismo e l’americanizzante laburismo britannico.
Quindi, parecchio al di sopra di quanto militarmente strumentalizzò l’asprezza del 2° conflitto mondiale (1939-1945) e di ciò che, dopo l’8 settembre 1943 inasprì in Italia la tragicità della "guerra civile" (quella sovvenzionata dalla plutocrazia - istigata di recente dagli USA anche nell’Iraq per facilitare a Wall Street il controllo mondiale del "mercato del petrolio" e sulle fonti d energia - e dall’URSS, fomentata altresì dall’antifascismo senza scrupoli), la Repubblica Sociale, col progetto di Costituzione elaborata dal ministro Carlo Alberto Biggini nel 1944 e con quanto particolareggiato nel Manifesto di Verona al 1° congresso del PFR in relazione ai diritti e doveri dei cittadini in ambito economico e produttivo, significò la vittoria politica del Fascismo, delle sue istanze dottrinarie anche nei concetti di civiltà sociale, su quelle contrapposte di altre ideologie statiche sul liberismo ottocentesco oppure sul socialismo schiavo della spirale di Marx.
Di ciò si trae un autentica certificazione, da considerarsi quale piena assicurazione, proprio dall’opera UNA REPUBBLICA NECESSARIA (R.S.I.) che Piero Pisenti approntò trent’anni dopo la nefasta conclusione del 2° conflitto mondiale e al termine delle persecuzioni da lui sofferte , precisando come dalle premesse fondamentali per la migliore economa d’ogni Stato (tutela della proprietà privata e del risparmio individuale, cogestione della promozione aziendale con l’equa ripartizione degli utili, programmazione nell’equilibrio delle esigenze di mercato, ecc.) scaturì l’atto fondamentale di portata rivoluzionaria della Socializzazione e che il governo Mussolini intraprese il 12 febbraio 1944 col decreto-legge n° 273, quello approntato da Angelo Tarchi, ministro dell’Economia Corporativa, insieme al sottosegretario Manlio Sargenti, tenendo ben presente che in precedenza la burocrazia e gli asserviti alla plutocrazia avevano cospirato per trattenere il corporativismo nel "margine-limbo" di sterilità funzionale.
Laddove però, il ministro P. Pisenti comprovò la sua capacità di giurista fu proprio nel dicastero di propria pertinenza, quello della Giustizia, perché - avendo sempre osservato durante sei lustri di professione forense nei confronti dei magistrati un atteggiamento d’alto rispetto per la loro indipendenza - a questo comportamento rimase coerente nel corso del suo mandato, creando subito un rapporto di fiducia reciproca con cui il magistrato intese che il ministro rappresentava una garanzia e una difesa in un clima di eccezione, di difficoltà ecc. (pag. 67 op. cit.) e ciò fu determinante in quanto allora non esisteva un ordinamento della giustizia simile a quello d’ora: niente Consiglio Superiore, niente "correnti", nessuna limitazione di rapporti col ministro.
Altresì, proprio durante la R.S.I. l’intera categoria dei Magistrati non venne chiamata a prestare giuramento perché, avendola pronunziato per essi il Capo dello Stato, ciò rappresentò l’impegno di tutti. A questa notevole salvaguardia pervenne Pisenti indicando - quale esempio - la famosa requisitoria di A.M. Dupin, il grande Procuratore generale della 2a Repubblica francese in occasione dell’unico giuramento dei magistrati della Corte di Cassazione di Francia, e tutto ciò in attesa che la Repubblica Sociale adottasse la propria, nuova Costituzione (quella perfezionata da C.A. Biggini) che, dopo la conclusione del 2° conflitto mondiale, sarebbe stato sottoposta all’approvazione - mediante "referendum" popolare - da parte di tutti i cittadini italiani.
Nella parte seconda dell’opera in cui illustra i particolari della sua attività per la Giustizia durante la R.S.I., Pisenti sottolinea senza incertezze ciò che affrontò in materia di problemi urgenti per il funzionamento della Suprema Corte di Cassazione al nord e in merito alle Casse di Previdenza per gli avvocati, i procuratori ed i notai; per le difficoltà legislative inerenti, il Concordato ed i rapporti del clero col nuovo Stato; sulla problematica della "giustizia straordinaria" in materia di Tribunali Provinciali e di quello "speciale per la difesa dello Stato"; sulla piena estraneità del dicastero guidato dall’avvocato friulano sullo svolgimento del "processo di Verona" e sulla fine di G. Ciano e degli altri condannati; sui difficili rapporti con le Autorità tedesche, specie in merito all’intangibilità dell’italianità dei territori dell’Alto Adige, di Belluno ed area dolomitica, del Friuli, Venezia Giulia e Dalmazia; sulla fermezza nello stabilire modi e termini per un regolare sistema legislativo inerente l’Avvocatura dello Stato, il notariato ed i suoi archivi, la socializzazione,i servizi del lavoro, la disciplina dell’industria, l’agricoltura e l’alimentazione,l’educazione nazionale e la cultura popolare, le pensioni ed altre provvidenze ecc., sino a fare impedire con decisione il malcostume degli arricchimenti illeciti. Fu Pisenti che il 28 ottobre 1944 ottenne da Mussolini il decreto di amnistia e condono non solo per i renitenti alla leva militare e per i disertori, ma anche per il reato dell’art. 282 del Codice Penale ("offesa all’onore del Capo dello Stato") e ciò per la costante volontà della Repubblica Sociale di ricomporre l’unità spirituale della Nazione.
Il 19 maggio 1944, nell’aula della Corte di Assisi di Brescia, il ministro Pisenti pronunciò il discorso per l’inaugurazione delle sezioni della Corte Suprema di Cassazione e in tale circostanza, garantì quanto nella R.S.I. sarebbe stata tutelata l’uguaglianza di tutti in cospetto della legge sovrana, affrontando qualsiasi difficoltà per mantenere il suo impegno che gli verrà riconosciuto - dopo il 1945 - con l’assoluzione da parte della Corte Straordinaria d’Assise di Bergamo in merito all’accusa prevista dall’art. 479 c.c.p. (collaborazione - quale ministro - col tedesco invasore).
Chi ha vissuto l’epopea della Repubblica Sociale, coloro che hanno affrontato e superato le difficoltà e gli ostacoli allora ovunque emergenti - specie nell’adempimento del proprio dovere - può riconoscere, senza incertezza quanto coraggioso ed amplio fu il compito eseguito da P. Pisenti e che l’accomunò - dopo il 25 aprile - agli analoghi tormenti sofferti dal maresciallo Rodolfo Graziani, dal com.te J.V. Borghese, dai ministri C.A. Biggini, Domenico Pellegrini-Giampietro e Angelo Tarchi, da intrepidi "repubblichini" quali Luigi Sangermano, Ezio M. Gray, Fulvio Balisti e Vincenzo Costa, Giorgio Pini e Franz Pagliani con tanti altri, tutti interpreti dell’esigenza storica e civile della Repubblica necessaria.
La constatazione di ciò, lo scrivente potè condurla quando - quale inviato d’un quotidiano dell’Urbe - intervenne ad Udine nel tardo autunno del 1955 e, laddove l’avv. Pisenti svolse il ruolo di parte civile nel corso d’un procedimento penale contro taluni esponenti comunisti, responsabili nei giorni della primavera 1945 di persecuzione e della scomparsa di alcuni cittadini friulani della R.S.I., allorché nelle regioni e sui confini orientali d’Italia s’addensò la tragedia degl’infoibamenti, delle esecuzioni sommarie e delle deportazioni che ebbe nei partigiani di Tito e dei loro sostenitori gli esecutori più crudeli.
In tale circostanza, quel valido esponente dell’italianità di tali terre tanto provate che fu Ferruccio De Michieli Vitturi - poi anche deputato - indicò che l’azione giuridica compiuta da Pisenti s’ergeva sempre a tutela della memoria non solo delle vittime delle vessazioni antifasciste, ma di tutti i martiri per l’italianità d’un suolo che sulle sponde orientali dell’Adriatico rappresenta la civiltà di Roma e latina.
Anche così si delinea l’eccelso significato dell’azione costante di Pisenti.
Essa s’inserisce tra cronaca e Storia da quando qual’uomo responsabile già nel 1921 portò il Partito del Lavoro a confluire nel movimento fascista anche in Friuli e, per questo, fu perseguitato da Badoglio nel 1943, dopo il 25 luglio, in quanto rappresentava: comunque quello "stile" di capacità etica e politica che lo studioso Armin Mohler indicò ineccepibile, impossibile d’eventuali deviazioni. Ciò, a Ettore Muti causò l’assassinio a Fregene.
All’età di 93 anni, nel settembre 1980, l’avv. Pisenti si spense a Pordenone, ma la sua personalità - come specificò la moltitudine dei suoi estimatori, appartenenti a qualsiasi ceto sociale - distingue tuttora quel retaggio d’anima più legalitaria della Repubblica Sociale, d’infaticabile guardasigilli dell’ultimo governo di Mussolini, s’inserisce e si proietta nel futuro quale una tra le più significative lezioni di realismo politico per l’Italia e per l’Europa affinché, la coscienza della loro superiorità storica, si trasformi in quella civiltà che coagula il dovere in diritto attraverso la nobiltà dell’intelletto e del lavoro. La primavera d’ogni autentico ideale è perenne.
 
 
ITALICUM N. Marzo-Aprile 2003? (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

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